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domenica 13 settembre 2020

Faccia da straniero

 




Gli stranieri nell'anima spesso nascono bisognosi o irrequieti. In entrambi i casi il sentimento di non appartenenza o una realtà difficile da sostenere li spingono alla partenza. Una volta preparata la valigia e varcato il confine l'identità verrà segnata in modo irreversibile. 
Arrivano le vacanze: Natale, Pasqua, Ferragosto e il nucleo originario torna a ricompattarsi.
Qualche ruga in più sul viso, la schiena più curva, gli occhi segnati. 
I pranzi e le cene tornano ad essere rituali rassicuranti, lenti e chiassosi. 
Si ritrovano i rumori di sempre, gli odori, i percorsi conosciuti. 
I giorni passano, lenti ma piacevoli. 
Il tempo scorre in una dimensione sospesa tra passato, presente e futuro, poi, di colpo, torna il frastuono del silenzio. 
Il peso del distacco si impone all'anima, anno dopo anno, con una fatica crescente. 
Vivere da straniero vuol dire essere più forte e più fragile allo stesso tempo: non avere paura di niente e aver paura di tutto.
Vivere da straniero indica non dare nulla per scontato , sentirsi un po' più ricco e un po' più povero, un po' a casa e un po' fuori posto sempre e ovunque.
Essere straniero vuol dire strappare le radici, aprire la gabbia della voliera e offrirsi all' arbitrarietà del cielo, anche quando si perde la voglia di provarne l'ebbrezza.


Su questo tema propongo una canzone di Georges Moustaki "Le métèque".


Traduco due strofe che mi piacciono particolarmente:


Avec ma gueule de métèque
De Juif errant, de pâtre grec
Et mes cheveux aux quatre vents
Avec mes yeux tout délavés
Qui me donnent l'air de rêver
Moi qui ne rêve plus souvent (...)


Avec mon cœur qui a su faire
Souffrir autant qu'il a souffert
Sans pour cela faire d'histoires
Avec mon âme qui n'a plus
La moindre chance de salut
Pour éviter le purgatoire (...)


Con la mia faccia da straniero,
da ebreo vagabondo, da pastore greco
e i miei capelli al vento.
Con i miei occhi slavati
che mi danno un'aria da sognatore
Anche se ormai non sogno più molto spesso


Con il mio cuore che ha fatto soffrire
tanto quanto ha sofferto,
Senza per questo lamentarsi.
Con la mia anima che non ha più
la minima possibilità di salvezza
per evitare il purgatorio




5 commenti:

  1. Hai descritto perfettamente quello che si prova.
    Mi piace anche l'espressione "vivere da straniero".

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  2. Ciao Luz! So che tu conosci bene questo tipo di esperienza. "Vivere da straniero" diventa, con il tempo, una condizione stabile, una specie di stile di vita... Almeno io la vivo così, nell'accezione positiva del termine ovviamente. Grazie per la visita. A presto

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  3. Una condizione complessa ( e forse è proprio questo il suo punto di forza, perché è uno stato così indefinibile, così aperto, da non lasciare margini a una determinazione finale, a una soluzione, a una conclusione ), a me nota, come a te e a Luz e che non può essere definita che nella sua contraddittorietà, proprio come hai fatto tu. :-)

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  4. Mi sembra molto più esaustiva la tua descrizione in queste righe rispetto alla mia nel post. Grazie

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  5. No, no, carissima! Mi piacerebbe scrivere bene ma non ho il dono che hai tu!😘

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